giovedì 27 dicembre 2012

Quel che manca è la cultura.


Cos'è allora che affligge la nostra città ed in parte tutto il nostro Paese? Com'è possibile che l'Italia si sia ridotta così male e che al Sud il progresso atteso da 150'anni non è mai arrivato?

Cos'è che un occhio attento arrivato in Sicilia (ed in Italia) nota subito?
La totale mancanza di cultura. Ma per cultura non intendo quella classica che si impara a scuola, quella infatti sono anni ormai che non la insegnano più, per cultura intendo tutte le conoscenze necessarie per far bene il proprio lavoro.
Ogni ambito ha una cultura: quella imprenditoriale, turistica, della ristorazione, etc..., piccoli dettami che suggeriscono a chi decide di intraprendere una professione di svolgerla al meglio.
Purtroppo così non è. A Caltanissetta, come in molte altre zone del meridione, i lavori si improvvisano ma non si imparano ed insegnano.
Sono davvero pochi, ad esempio, i ristoranti dove mangiare è un piacere, trovare personale competente e capace è quasi impossibile, i camerieri ai tavoli spesso non sono altro che ragazzi in jeans e maglietta che nulla sanno del lavoro che stanno svolgendo. Ma la colpa non è loro, ma di quegli ignoranti che si improvvisano imprenditori e che poi, come tutti gli ignoranti, hanno l'arroganza e la maleducazione che li contraddistinguono.
I Siciliani sono famosi per la loro ospitalità, ma francamente, avendo viaggiato tanto, posso dirvi che di ospitale qui c'è poco. Sono pochi i negozi dove si è accolti con un sorriso e con professionalità, il servizio è sempre scandente per poi non parlare della nota dolente, i WC. Ma i ristoratori non sono anche loro esseri umani? Come si possono avere servizi igienici sporchi e senza carta o sapone? Bagni che ricordano quelli delle stazioni e che nulla hanno a che vedere con il concetto di ristorazione. Credetemi, il WC è sempre un buon punto di partenza per capire quanto di professionale ci sia nel ristorante o bar dove siamo capitati.
Ma la cultura non manca solo nella ristorazione. Prendiamo il rapporto che hanno le imprese con la pubblicità, io lo definirei meraviglioso. Per non investire qualche migliaio di euro in un progetto pubblicitario a lunga scadenza (ad esempio nel 2013 investo 2000€ per la pubblicità), si affidano all'amico dell'amico, che gli farà un lavoro scadente al prezzo minore, ma ovviamente essendo ignorante il commerciante non bada alla qualità ma al fatto che quel volantino o sito web gli sia costato due soldi. Poi li vedi piangere perché la loro impresa va male, come se i clienti venissero ad acquistare in quel posto attratti chissà da cosa, forse dai profumi del loro Wc.
Ma la cultura manca in tutto, e non potevo non parlare di chi ci amministra, ignoranti al soldo dei potenti, incapaci anche loro di un progetto a lunga scadenza che possa far migliorare questa città nel lungo periodo. Caltanissetta è così da sempre, e la colpa è anche da attribuire a tutti quegli incapaci che noi cittadini abbiamo messo a governarci.
La cultura è l'arma più forte, essere competenti e preparati, sapere come gestire al meglio un'attività commerciale o la cosa pubblica, tutto è legato al Sapere.
Ma nella dittatura mediatica voluta da Berlusconi, ignoranti ed innocui è il requisito base per potersi definire Italiani. Non importa quanto tu sia bravo o preparato, ci sarà sempre un raccomandato “figlio di” o “amico di” che prenderà un posto dirigenziale. E quando ignoranti/raccomandati si ritrovano a guidare l'aereo, è inevitabile che tutto caschi, perché loro stessi non si rendono conto di come va gestita la cosa pubblica. Manca la cultura del verde, dell'amore per le città ed il patrimonio, manca la cultura della cultura, l'amore per i libri e per il bello. Questo tempo è il trionfo dell'ignoranza e dell'arroganza, e molti ancora non lo capiscono perché appunto ignoranti.
Il mio non è populismo, dovrebbero essere gli Italiani ad aprire gli occhi, a viaggiare a documentarsi, per vedere quanto questo paese sia alla deriva, e di come ad intere generazioni il futuro sia stato negato. Ma è inutile cercare di far vedere la luce a chi adesso sta guardando Maria De Filippi e si appresta ogni domenica a celebrare uno dei principali strumenti di controllo di massa, il calcio.
Continuate a dormire...

mercoledì 28 novembre 2012

Caltanissetta e il vento...


Caltanissetta, primavera 2006.

Dalla finestra della mia camera, quando sono sdraiato sul mio letto, posso vedere le cime dei pini che si trovano dietro la mia casa, e il cielo.
Quando è sereno l’intenso azzurro contrasta con il verde degli alberi, e mi diverto a guardarli, fissi immobili, come un quadro a tinte forti, altre volte vengono invece mossi dal vento.
La notte, se le congiunzioni lo permettono, viene a trovarmi la luna, enorme e lontana, riempie la mia camera di luce argentea, e ancora una volta posso ammirare le cime dei pini.
Dalla mia stanza gusto una larga porzione di cielo notturno, e con esso le stelle. In estate ne vedo molte di cadenti, qualcuna è verde o rossa, lampi, meteore così veloci che spesso ti chiedi se non sia stato solo frutto della tua immaginazione.
Nelle giornate ventose, un sinistro ronzio avvolge la mia casa, che battuta dai venti come una nave in tempesta non può che subirli tentando di contrastarli.
Ci si abitua a tutto, anche al rumore costante del vento che spesso soffia per giornate intere, scuote persiane, rende i cani nervosi facendoli ululare, si infila dentro le canne fumarie dei camini formando strani suoni, come le urla o i lamenti che i viaggiatori udivano nel deserto del Gobi, ingannati dal sottile gioco di Zeffiro.
Eppure un’altra cosa che accomuno a Caltanissetta è il vento. Quel soffio umido che rende il nostro inverno peggiore di quello del nord Europa, il vento che fa infilare il freddo nei tuoi abiti e poi nelle ossa. Il vento che taglia le mani e il viso, quello che fa sbandare le auto sull’autostrada.
Forse questo è un altro tassello di queste genti dell’entroterra così complesse. Popoli che passano da estati secche e torride a inverni umidi, piovosi e ventosi.
Spesso, e con gioia, arriva il vento di scirocco, giunge in Sicilia ancora carico di sabbia del deserto, e lo senti nell’aria, lo avverti, modella ancora l’umore rendendoti stranamente nervoso. Poi riempie il cielo di nubi rosse, enormi ammassi di fuoco che si librano sopra le nostre teste, grovigli sinistri di colate laviche sospese a mezz’aria. Cade la pioggia, acqua calda in vento caldo, e ciò che resta alla sua dipartita è una distesa di sabbia rossa, che tinge le auto, i selciati delle strade, e ha sporcato i vestiti stesi al sole ad asciugare.
Di tutti i fenomeni che avvolgono la Sicilia, questo è uno di quelli che ci fa sentire orgogliosi. Lo Scirocco, vento amico che proviene da sud, quasi un conoscente che ogni tanto viene a farci visita, una persona lontana eppure di casa.
Anche in estate il vento fa la sua comparsa. Carezza le cime degli alberi, creando un dolce suono di foglie e sospiri.
Nel vuoto della campagna nissena ci si imbatte in piccole macchie di alberi di eucalipto, e lontani dal caldo, all’ombra dei loro tronchi, godi del rumore del vento e del profumo fresco delle foglie.
Adesso è primavera, e ovunque è un tappeto di erba e fiori di campo.
Il vento soffiando crea increspature sui campi di grano, e sembra proprio un mare verde che fa avanzare le proprie onde alla ricerca di una spiaggia su cui infrangersi. Nei campi arati male, crescono macchie di papaveri e di altri fiori di campo, chiazze di rosso, viola e giallo compaiono all’improvviso dietro una collina, mentre sciami di insetti ronzano per posarsi sui loro talami.

Tratto da: Derive e Approdi di Luciano Zaami. Edizioni Orientexpress. Napoli 2011

martedì 20 novembre 2012

Prega Dio e fotti il prossimo...


Eh si, ci si abitua a tutto, anche al degrado!
Bisognerebbe fare uno studio approfondito per spiegare il perché gli Italiani abbiano un rapporto controverso con l'igiene.
Se infatti hanno un'ossessione maniacale nei confronti delle loro abitazioni, (che sono sempre pulite e tirate a lucido), sembrano invece non avere alcun interesse verso lo stato delle loro città e dell'ambiente in generale.
Tutto quello che accade al di fuori della propria casa sembra non interessare gli Italiani. Ogni sfregio, immondezzaio, abusivismo, e gesto incivile sembra lecito o normale ai figli di Dante e Botticelli.
Dall'altro lato, si citano spesso i popoli del Nord Europa, che hanno città pulite ed ecosistemi protetti, a fronte di case non sempre brillanti.

Su questo si potrebbero aprire innumerevoli dibattiti, ma amo sempre partire dallo spunto che mi diede anni fa un mio amico Olandese, lui notò che in Occidente, i paesi che arrancavano erano sempre quelli latini, e quindi Cattolici.
Che possa essere vero?
Che il classico: “prega Dio e fotti il prossimo”, sia più radicato di quel che si pensa?
Del resto questo atteggiamento è sempre presente nei Cattolici. Il rapporto duale fra uomo e Dio è esclusivo. Non importano gli altri, io devo dimostrare di essere il fedele e il più devoto e questo a discapito del prossimo.
Sembra che nessuno abbia ben chiaro che, in una scala di azioni per assicurarsi il paradiso, ha più valore rispettare il prossimo e tutto il creato di Dio, che venerare Dio stesso.
Che vale battersi il petto in chiesa se poi una volta fuori distruggiamo il mondo che Dio stesso ci ha donato?
Rispettare il prossimo non è forse il gesto civile, e Cristiano, più alto che possiamo fare? Il rispetto non passa anche attraverso l'amore per chi è diverso, come ad esempio quegli immigrati che da anni raggiungono l'Italia in cerca di aiuto e che noi spesso dipingiamo come l'origine di alcuni mali della nostra società? O forse a Dio non interessano quei disperati? Secondo voi a Dio interessa solo che ogni domenica un nugolo di fedeli in pelliccia vadano a farsi il segno della croce? Proprio no, non credo. Se io fossi credente penserei che l'immigrato che chiede l'elemosina fuori da una chiesa sia una prova che ci manda il Signore, giusto per capire se poi, alla fine della messa, siamo davvero così caritatevoli come il buon samaritano.
E fra un Ateo onesto, ed un cristiano disonesto, chi salviamo?

Realtà opposta si ha in quei paesi protestanti, che grazie a Lutero, hanno cambiato la visione del rapporto uomo-Dio. Dove il rispetto verso il prossimo (e quindi per riflesso verso Dio) passa anche attraverso la cura per la città (ed in generale sullo sviluppo della società), perché è lì che vivono i nostri simili, ed è lì che si dimostra l'essere o meno buoni Cristiani.
Tutto quello che accade fra le mura di casa ha un valore intimo, e quindi esclusivo con Dio. Perché è in casa che noi non abbiamo occhi che ci scrutano, eccetto quelli del Signore.

Possiamo allora parlare di un atteggiamento Latino-Cattolico che ha plasmato anche il nostro modo di vivere le città?

Ora, mettiamo da parte questa premessa, che di certo non farà piacere a chi non si rivede in questa descrizione: resta però il fatto che la sporcizia ci circonda, e nessuno sembra farci più caso.
Ci siamo abituati all'orrore!
Ma vi prego di aprire gli occhi quando uscite di casa. Provate a guardare la Città con uno sguardo critico, come se voi veniste da un posto qualsiasi che non sia il nostro martoriato Meridione.
Vedete i ciuffi di erbacce che crescono ai bordi delle strade? Vedete l'asfalto pieno di buche? Vedete la spazzatura che ha invaso ormai non solo ogni angolo della città, ma anche le campagne? Sembra difficile non trovare la maledetta plastica!
Vedete i marciapiedi sconnessi? I monumenti invasi da scritte? I palazzi del centro che stanno per cadere?
Ma vedete anche le macchine grosse e lucide e la gente vestita in maniera elegante. Vedete anche chi parcheggia in doppia fila per andare a comprare il pane fregandosene si arrecare un danno al prossimo (i figli di Dio per intenderci), per un puro tornaconto personale?
Vedete l'orrore che ci circonda? O vi siete abituati anche a questo?
Abituati a tutto!
Vediamo il nostro mondo andare a pezzi, il nostro futuro scomparire, e crediamo che basti andare a messa la domenica per guadagnarci il regno dei cieli.
Eppure, come nella parabola dei talenti, il ricco signore punì il servo che non aveva messo a frutto i denari che gli erano stati affidati.
Anche in questo caso, Dio, punirebbe noi tutti per non aver rispettato il pianeta che lui con tanto amore ci aveva donato per farne la nostra casa.

venerdì 9 novembre 2012

Ci si abitua a tutto, anche all'indifferenza.

Questo post non nasce da una mia idea, ma è stato un cittadino di Caltanissetta che mi ha chiesto di parlarne, e la cosa non può farmi che piacere.
Mi chiedeva del perché questa città non ha più il coraggio di indignarsi.
Ci si abitua a tutto, anche all'orrore, all'indifferenza, a tutti quei comportamenti che altrove farebbero gridare allo scandalo, e qui invece è la normalità.
Viviamo nella nazione di Pulcinella, dove tutti sanno chi sono i disonesti e dove sono seduti, ma nessuno li va ad arrestare, e nessuno si indigna più di tanto.
Di certo è una tecnica efficace, è quella della goccia.
Giorno dopo giorno, aumenti la dose di immondizia che scarichi sulla società, fino al momento in cui nessuno ci fa più caso, e diventa, ahimè, la normalità.
Sappiamo bene che quel politico è salito grazie a dei voti “dubbi”, sappiamo che certe attività commerciali aprono per riciclare denaro sporco, sappiamo tutto di tutti, eppure restiamo nell'indifferenza, e spesso anche nella paura di ritrovarci soli a lottare contro i giganti.

Possibile che questa città non abbia più voglia di indignarsi e partecipare?
Gaber diceva che: “Libertà è Partecipazione”, e mai frase fu più vera. Eppure basta vedere le associazioni di volontariato che arrancano a causa della scarsità dei sostenitori, basta vedere la risposta negativa che la città da a diverse iniziative a sfondo sociale.

Ogni tanto assistiamo a piccole scintille di orgoglio ma che mai si concretizzano nel fuoco del cambiamento.

Ma la paura a ribellarsi e il non indignarsi, genera un'altra cosa spaventosa: l'individualismo.
Infatti, mentre un male comune dovrebbe unire il popolo a scendere in piazza, si preferisce risolvere il problema a proprie spese, senza partecipare al processo di appartenenza alla comunità.
Un esempio per tutti? La perenne crisi idrica. In tanti anni non ho mai visto la gente ribellarsi ai turni per l'acqua, turni che in certi periodi sono arrivati pure ad offendere la dignità di noi cittadini; avere l'acqua una volta a settimana è da terzo mondo, ed il nostro silenzio lo è ancor di più.
Eppure, invece di vedere la gente scendere per le strade, si assiste all'effetto contrario, ognuno si fa il suo bel recipiente e se lo mette sopra il tetto. Morale della favola? “Io sto bene, che mi frega se i miei vicini soffrono la sete?”

Manca completamente l'idea di cosa pubblica e bene comune, manca quella “partecipazione” di cui parlava Gaber.
Eppure gli Italiani sanno che il loro modo di fare è sbagliato, non a caso guardiamo ai francesi con invidia, dicendo sempre che loro, per molto meno, scendono in piazza e sono tutti compatti.

Allora perché non lo facciamo qui? Che cos'è che ci ha reso così indifferenti difronte ai nostri stessi diritti?
Possibile che siamo disposti a subire ogni genere di ingiustizia pur di difendere quei pochi privilegi acquisiti? Quelle briciole che altrove farebbero sembrare la vita una vergogna e qui invece diventano un vanto?

Qualcuno si è mai chiesto quanto vale la propria vita?

venerdì 10 agosto 2012

Distruggete il Gattopardo!


Ultimante sto attraversando la mia fase “assolutista”, credo infatti che in certi periodi storici, visto che il popolo non è in grado cambiare il proprio destino, ci sia bisogno di un’imposizione che venga dall’alto, qualcosa di bruto ma necessario.
Prendiamo la storia ad esempio, tutti i più grandi tiranni sono anche coloro che hanno avviato dei periodi di cambiamento, senza i quali la civiltà non si sarebbe evoluta. Il termine stesso di rivoluzione indica un cambiamento repentino a discapito di un processo naturale che sarebbe potuto durare anche secoli.
Mettendosi nei panni di alcuni recenti dittatori si possono anche giustificare certi atteggiamenti, prendiamo ad esempio Mao Tse Tung in Cina o Pol Pot in Cambogia, entrambi capirono che per cambiare veramente le cose si doveva cancellare tutto il retaggio del passato, quel passato che impediva col suo peso lo sviluppo ed il cambiamento. Un’azione folle, ma necessaria per chi voleva la sopravvivenza della propria nazione. Forse avrebbero evitato molte delle azioni che hanno compiuto, ma sapevano che erano necessarie, anche se il risultato non poteva essere certo.
Ed ultimamente, che ci crediate o no, nutro un sano odio verso il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, non per il libro in sé che è ovviamente uno dei più importanti testi del ‘900, ma per come sia entrato in maniera negativa nelle menti dei Siciliani privandoli di alcun senso civile e dando manforte alla loro apatia cronica. Come dire: “siamo fatti proprio così, e non ci possiamo fare nulla, lo dice pure il Gattopardo….”
Non c’è infatti discussione sui problemi della Sicilia e dei siciliani che non si concluda con l’intellettuale di turno che citi la solita frase del: “Tutto cambia affinché nulla cambi”.
Questa frase la ritengo pericolosissima, perché autorizza i siciliani a distaccarsi da ogni slancio politico e voglia di cambiamento, perché tanto ogni azione, in maniera preventiva, viene vista come il desiderio di mantenere lo status quo, o comunque come un inutile spreco di energie, facendo quindi il gioco di chi davvero vuole che nulla cambi.
Non c’è niente di meglio per chi detiene il potere che avere un popolo che preferisce sonnecchiare piuttosto che tentare di cambiare il proprio futuro. Ma soprattutto, non c’è niente di peggio che un cittadino che invece che partecipare, preferisca restare agli angoli citando il Gattopardo per poi poter dire: “te lo avevo detto io…”.
Ma come possiamo dare ad un testo un tale potere? Ovvero il potere di aver fatto credere ai siciliani (notoriamente non inclini a mettersi qualcosa in testa) che è inutile che partecipino al cambiamento della loro vita perché tanto mai nulla cambierà?
Nessuno ha pensato che Tomasi di Lampedusa, per quanto autore brillante, era pur sempre un uomo? Un signore con una visione ampia della vita, ma che comunque rispecchiava un'epoca, un periodo storico, e soprattutto una vicenda personale che non può essere applicata ad un intero popolo? E forse non era nemmeno suo intento diventare il più citato dai lagnusi e dai codardi.
Ed è per questi motivi che ultimante penso che per estirpare questo malcostume dalla mente dei siciliani sia forse necessario far sparire questo libro, in modo che non possa più essere distorto ad uso e consumo di chi vuole che davvero nulla cambi.
Forse sono troppo radicale? Si! Ma ultimante sto davvero meditando alcune azioni che per qualcuno possono essere definite “estreme”, ma che io reputo necessarie per ottenere il cambiamento. Non dobbiamo dimenticare che viviamo in un periodo storico delicato, il sistema capitalista è fallito, ma soprattutto l’Italia è ormai alla deriva, vittima di oltre 60’anni di Repubblica che hanno distrutto la società ed il patrimonio. Ed oggi il potere è in mano ad una classe dirigente di over 60 che non vogliono mollare l’osso e pretendono di progettare il mio futuro; tutto questo non può essere accettato ancora a lungo, e se vogliamo che le cose cambino dobbiamo cambiare le cose.
Non vi preoccupate, non medito alcuna bomba o sparatoria, questo lo lascio fare ai servizi segreti italiani, ciò che voglio è che i cittadini capiscano che il cambiamento passa attraverso le loro azioni, ma soprattutto attraverso il loro voto, che dovrebbe essere libero da clientelismi ed intrecci politici.
Quindi alla frase del Gattopardo: “Tutto cambia affinché nulla cambi”, voglio contrapporne una del Giudice Borsellino, un esempio di sicuro più attuale e sano che tutti dovrebbero seguire, ma si sa, fare la cosa giusta ha un suo peso ed in certi casi anche una sua controindicazione: ‎"Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla. Perché il vero amore consiste nell'amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare"

venerdì 3 agosto 2012

La ricerca di un Modello Siciliano


Di quale male soffre allora la Sicilia? Possono i mille problemi che ci affliggono derivare da una sola causa? Può la mancanza di identità rendere un popolo debole e quindi più soggetto ad ogni genere di sopruso, anche quello che subiamo da parte dei nostri stessi coisolani? (vedi politici corrotti, mafiosi e, ovviamente, i politici mafiosi).

Come già ho scritto, i Siciliani, come tutte le genti del Sud Italia, soffrono del male della “perdita dell’identità”, la nostra storia è stata nascosta ed in alcuni casi addirittura cancellata, questo ha portato ad avere un popolo che vive in una terra senza passato; un luogo fatto di un presente senza valore ed in un futuro incerto.
Al nostro retaggio è stato sostituito un nuovo modello, quello settentrionale. Modello sognato, di benessere e felicità che si realizza solo emigrando.
In Sicilia sappiamo bene che arrivati ad una certa età si deve andar via, perché qui non c’è nulla.
Al Nord si sta meglio, si vive meglio e tutto è più bello, o forse questo è solo quello che per anni abbiamo creduto?
Ma dov’è che abbiamo sbagliato?
Sappiamo che in passato si è provato ad applicare al Sud un modello che non ci appartiene, quello industriale che è fallito per motivi storici, ma anche geografici.
Come possiamo applicare una modello ad un sistema che per sua natura non potrà mai farlo suo? Semplicemente non possiamo.

Finché guarderemo al Nord come un esempio, ne verremo attratti e non riusciremo mai a fermare il flusso migratorio che da sempre flagella il Sud.

A cosa dobbiamo quindi puntare?
Credo che sia giunto il tempo di cercare una terza via, un “Modello Siciliano” che possa diventare il nostro vero motore per lo sviluppo.
Quello che per altri è lentezza è pigrizia, non è altro che il nostro modo d’essere e di vivere, quello del Meridione è un sistema che si è evoluto in secoli di storia e che adesso viene dipinto come negativo.
Ciò che si deve fare è analizzare i nostri punti di forza, e costruire su quelle basi. Sfruttare al massimo le nostre risorse che sono quelle del turismo, della cultura e del mangiar sano. Fare in modo che la Sicilia diventi il centro del Mediterraneo ed una porta politico-culturale sul Nord Africa.
Facciamo in modo che il nostro Essere Siciliani, sia una caratteristica unica e positiva, un pregio e non una sventura.
Far capire ai giovani che “quello che siamo” non è un fattore di cui vergognarsi, e che l’unico modo per evitare che le generazioni future lascino la Sicilia è quello di non abbandonarla adesso, di rimboccarsi le maniche e di creare sviluppo ora.
Questa crisi economica dovrebbe essere l'occasione per far capire a tutti che ormai il posto fisso è una chimera, e che quindi è giunto il tempo di rischiare e di aprire quelle attività commerciali che per paura o pregiudizi non abbiamo mai voluto prendere in considerazione.
Per la prima volta possiamo fare economia reale, creare sviluppo ed opportunità mettendoci in gioco, senza cullarci dietro la comoda sicurezza dell'impiego statale. Possiamo realizzare i nostri sogni nel cassetto, quei sogni che abbiamo ucciso perché eravamo troppo impegnati a "cercare un lavoro".
Ma tutto questo va fatto senza più guardare al Nord, perché per anni la politica è stata quella di renderci poveri per favorire la fuga dalle nostre terre, e mantenerci dipendenti dal settentrione.
Dobbiamo essere noi Siciliani a rialzarci e metterci al lavoro, senza attendere leggi giuste che mai verranno, e senza chiedere aiuto al politico di turno.
Abbiamo perso la voglia di lottare e di amarci, attendiamo che qualcosa accada, e non abbiamo capito che tutto dipende da noi, che il nostro futuro e la nostra felicità esisteranno solo se noi lo vorremo.
Rialziamoci dunque, e mettiamoci a lavoro!

martedì 24 luglio 2012

Lettera di un ragazzo Nord Africano


Piacere, sono un immigrato nord africano, vivo nel centro storico di una città siciliana chiamata Caltanissetta.
Mi trovo bene, anche se devo ammettere che non è facile vivere qui, soprattutto perché i Nisseni (così si chiamano gli abitanti) hanno molti pregiudizi nei nostri confronti e ci accusano di aver occupato il centro storico rendendolo invivibile. Forse è un po’ vero, anche se non so com'era Caltanissetta prima del nostro arrivo, ma se loro dicono questo allora sono certo che fosse una città stupenda, ricca, pulita e con un centro storico fiorente.
Le mie giornate sono comunque serene, ho aperto una piccola attività commerciale, vendiamo diversi prodotti che possono essere comprati sia dai nord africani che dai siciliani, del resto molti aspetti della nostra cultura si assomigliano. Però i negozi accanto al mio stanno chiudendo, i padroni dicono che i Nisseni preferiscono andare a comprare nei centri commerciali, per fortuna gli immigrati vivono e acquistano qui in zona, e non abbiamo questo problema.
Ho trovato una casa non molto lontano da qui, divido una camera con altri tre amici e paghiamo 500€ l’affitto, la stanza e fredda e mal ridotta, io credo che questi soldi siano troppi, ma il padrone dice che di meglio non si trova, e per venirci incontro non ci ha fatto neanche il contratto perché dice che altrimenti avremmo dovuto pagare molte tasse. Siamo stati davvero fortunati, il padrone ci ha dato una mano.
La sera non riesco a dormire, perché i Nisseni amano incendiare le auto nel centro, non so perché, forse è un’antica usanza, spero però che non incendino la mia perché mi serve per andare a lavoro.
A proposito di auto, qui le strade sono molto antiche e piene di buche, alcune anche molto profonde, proprio l’altro giorno un mio amico ci è finito sopra ed ha rotto un pezzo della sua macchina, io credo che dovrebbe farsi dare i soldi dal Comune, perché è colpa sua se ci sono i buchi, ma poi il mio amico mi ha fatto notare che forse a loro piacciono le strade così, altrimenti non si spiegherebbe il fatto che le tengano tutte rotte.
Come dicevo, la sera non riesco a dormire perché bruciano le macchine, allora con i miei amici decidiamo di andare in Piazza Garibaldi a giocare a calcio, ma questo non è sempre possibile, perché i Nisseni parcheggiano le auto attorno alla fontana in centro e noi non possiamo fare nulla.
Spesso allora finiamo per bere qualcosa e vorremmo buttare le bottiglie nei cestini, ma in città ce ne sono pochi, ma soprattutto ai Nisseni piace collezionare l’immondizia, l’accumulano per le strade e la tengono lì anche per settimane. Ho sentito dire che il signore che gestiva questo servizio ha usato la carta di credito per effettuare delle spese personali, ma nessun cittadino è sceso in piazza a protestare, allora credo che anche questo sia un loro modo di vivere e che preferiscono così.
Purtroppo ci sono anche molti miei amici che si comportano male, questo è vero, alcuni litigano fra di loro, o chiedono soldi, e forse quando i Nisseni dicono che adesso la città è diventata invivibile credo che si riferiscano a loro. Io chiedo scusa, ma so anche che ci sono tanti immigrati che si comportano bene, lavorano e pagano le tasse, altrimenti se fossimo tutti cattivi la città sarebbe davvero invivibile, ora non voglio dire che la colpa non è nostra, del resto, se i Nisseni dicono che prima di noi la città era ricca, bella e pulita, forse, hanno davvero ragione.
Sono certo che i ragazzi siciliani emigrano per colpa nostra, e se non c'è lavoro è perché noi lo rubiamo a loro... forse è meglio se faccio le valige e torno in Nord Africa, almeno lì, quando qualcosa va male, facciamo la rivoluzione o comunque non diamo la colpa a chi sta peggio di noi.

sabato 30 giugno 2012

W la Mamma!


Chi mi conosce sa bene cosa penso del calcio e soprattutto di chi lo segue eleggendolo a unico argomento delle sue giornate e a unico interesse che riempie circa la totalità delle sue giornate e della sua vita sociale e privata.
Eppure non posso non nascondervi l’emozione che ho provato nel seguire le ultime due partite. Principalmente perché finalmente, dopo tanti anni di successi dettati più da un proverbiale culo che da una vera e propria prova di stile, l’Italia ha messo in campo una squadra capace di stupire e di divertire, un team quasi perfetto che tiene la palla in campo con freddezza ma anche estro. Ovviamente quest’osservazione è di puro stile tecnico, resta intatto il mio disprezzo per tutto ciò che gira attorno ad un semplice sport che dovrebbe esaurire la sua performance in 90 minuti e non altro.
Ma più di ogni altra vittoria quello che mi ha colpito, e che adesso ipocritamente colpisce tutti, è la storia del buon Balotelli, talento a cui vengono perdonati tutti i peccati e i difetti se riesce a portare una squadra in finale a suon di gol. Un giovane impetuoso il cui atteggiamento arrogante diventa pure simpatico e giustificato dopo che la palla si è fermata fra le maglie della rete.
Ovviamente, inutile dire che se non fosse diventato la nuova icona del calcio italiano, adesso sarebbe attaccato da tutti per la sua arroganza e tutto quello che già sappiamo di Balotelli.
Premettendo che non ho mai avuto simpatie o antipatie per il Sig. Mario, essendo io disinteressato al calcio, ma da due giorni sto dando un valore simbolico fortissimo a questo ragazzo, con la speranza che lui stesso si renda conto che da prodigio testone dal passato difficile è diventato improvvisamente un’icona per uno dei temi che più fa vergognare questo “Bel Paese” che di bello ha ormai ben poco, parlo del tema dell’integrazione e del razzismo che in vent’anni è montato in Italia grazie a Berlusconi, alla Lega, e ad una legge ignobile chiamata Bossi-Fini.
Alla fine di Italia-Germania, il centro storico di Caltanissetta, prima che dagli Italiani, è stato invaso da centinaia di immigrati Africani che festosi giravano per le strade gridando il nome di Balotelli. Lì ho capito che qualcosa stava accadendo, che questo ragazzo è diventato il collegamento fra due mondi che non riescono ancora a parlarsi e che forse possono trovare un linguaggio comune nel calcio.
Non gridavano altro nome, solo Balotelli, questa era la loro vittoria e la loro rivalsa, come in passato gli Italo-Americani si facevano forti di tutti quei nuovi eroi figli di immigrati che col loro successo ridavano dignità ad un intero popolo.
Adesso Balotelli è l’icona di quelli immigrati che per colpa dell’ignoranza e della paura degli Italiani, non riescono ancora a farsi accettare nel paese dove nascono, studiano, lavorano e pagano le tasse. Una legge assurda che fa si che pur nascendo in Italia non sei riconosciuto come cittadino perché i tuoi genitori non sono Italiani. Una legge medievale basata quindi su una questione genetica e di sangue, roba da accapponare la pelle! Altro che 2000 anni di cultura, qui si guarda ancora alla razza!
Balotelli è stato capace di far integrare gli Italiani agli immigrati, e sottolineo il fatto che sono gli italiani a doversi integrare e non viceversa, perché ormai è da oltre vent’anni che viviamo in una nazione multietnica, ma sembra che il nostro razzismo non ci faccia accettare un fenomeno che altrove è una norma, basta andare in Francia, Germania o Inghilterra per vedere realtà dove la multi etnicità è una parte assodata della società.

Ma per fortuna c’è il calcio, l’unico evento che riesce a far scendere in piazza gli italiani, l’unica volta in cui si vedono le bandiere per strada e si canta l’inno; certo, poco importa se alla fine non si tifa la nazione, ma la squadra in sé. Quella è la bandiera della nazionale di calcio, non del nostro paese, e quello è l’inno della squadra, non quello di tutti.
Poco importa tutto il resto, quello che mi interessa è che un ragazzo di colore, nato a Palermo e adottato da una famiglia Bresciana sia diventato in questi giorni l’icona dell’Italia, l’occasione per focalizzare l’attenzione su un problema tanto discusso ma che fin’ora non ha mai visto un sostegno dell’opinione pubblica, ma adesso, visto che di mezzo c’è il calcio, possiamo sperare in un passo avanti per i diritti di quelle persone che di certo si sentono molto più italiane di tanti che si professano nazionalisti, di sicuro lo sono più di me, che non mi sento italiano ma Siciliano… ma questa è un’altra storia.

L’altro aspetto, quello di cui stanno parlando tutti, e del quale io mi compiaccio, è l’abbraccio di Balotelli alla madre adottiva a fine partita.
Uno dei gesti più belli visti in un campo di calcio negli ultimi anni, un gesto che di certo rimarrà nella storia, e che per noi italiani è di sicuro qualcosa che non ci lascia indifferenti.
L’italiano all’estero (ma anche nel Nord Italia) viene sempre deriso per il suo essere mammone, caratteristica che agli occhi dei gelidi nordici sembra indebolire l’animo umano, invece io credo fortemente che l’amore e i sentimenti siano quanto di più importante esista, soprattutto nei confronti dei nostri genitori, persone che ci amano e ci ameranno sempre indipendentemente da chi siamo e da cosa facciamo. Di tutti gli amori passeggeri che ci accendono e deludono, quello per i propri familiari è il più puro e vivrà in eterno.
Siamo un popolo di mammoni, e meno male! Che sia questo il segreto del nostro estro? Del nostro saper stupire con un lampo di genio uscendo fuori da situazioni ormai spacciate? Del resto è questo il motivo per cui siamo tanto odiati, l’Italiano passa il tempo nel totale cazzeggio per poi salvare tutto negli ultimi minuti, utilizzando solo l’inventiva. Certo, non è una scusante, ma una nostra caratteristica. Amo pensare, che come tutti i bambini, decidiamo di fare un grande gesto non tanto per noi stessi, ma per rendere felici ed orgogliosi i nostri genitori, se questo fosse il modus operandi di una nazione, se noi tutti operassimo pensando a quello che potrebbero pensare le nostre madri ed i nostri padri, allora faremmo di certo la cosa giusta, e porteremmo a casa il risultato.
Forse questo mio pensiero è un po’ semplicista, ma è comunque innocuo, e forse aiuta a vivere meglio, perché ci ricorda che nella vita le soddisfazioni personali possono venire anche rendendo felici ed orgogliosi chi ci vuole bene. 

venerdì 22 giugno 2012

La non violenza e la bellezza



Qualche mese fa avevo pubblicato un post sul mio Blog dal titolo: “Solo la bellezza potrà salvarci da tutto questo orrore”, quelle mie parole nascevano dal malessere di dover vivere e vedere ogni giorno la mia terra devastata dagli abusi e dall'ignoranza, ad opera chi è stato eletto per gestire la cosa pubblica ma che invece distrugge i tesori che ci hanno lasciato i nostri antenati, in cambio di cemento e barbarie.
Credo anche, che come violenza genera violenza, orrore genera orrore, e l'unica risposta al brutto sia inevitabilmente il bello, come Gandhi propose la non violenza a risposta di tutti i gesti di prepotenza.
Su Facebook, (ormai luogo che ha soppiantato i rapporti umani e che è sempre spunto per mille riflessioni), assisto con faccia dubbia ai post dei mie contatti/amici, che per la maggior parte sono di due generi:
1: attacchi contro amici, amori, o persone che li hanno delusi (consiglierei di imparare a circondarsi di brava gente o di chiedersi se il problema non risieda in loro , visto che a me queste cose capitano raramente).
2: post di denuncia contro ogni genere di brutalità (politici, TV, perdita di patrimonio e cultura, guerre, fame nel mondo, Bruno Vespa e chi più ne ha più ne metta).
Ora, questo mio scritto riguarda principalmente il secondo punto.
Personalmente, credo che contrastare l'orrore, parlandone anche in modo negativo, non faccia altro che amplificarne l'effetto. Che senso ha aggiungere qualcosa a quello che già c'è? Qual è la risposta? Ed esistono soluzioni?
Io credo di si. Io credo che, dovendo fare una scelta, si debbano condividere e diffondere idee ed esempi positivi, perché tutto viene trasmesso come fosse un virus, sia la negatività che la positività.
In questo mondo c'è ancora tanta bellezza da esprimere, da scovare e condividere. Certo, occorre non essere pigri, bisogna allontanarsi da Facebook e da altri media che ormai diffondono solo orrore, bisogna trovare il bello, e condividerlo, portare alla ribalta esempi positivi, di gente che non si arrende ed ha ancora voglia di fare.
Riempire le proprie bacheche Facebook di bellezza e non di negatività, (per bellezza non intendo foto di cuccioli o frasi di Emma Marrone elevata a nuova maestra di vita), ma fare in modo che il banale non diventi ormai il nostro quotidiano, ma che si riscopra finalmente la cultura “alta”, quella che è ovunque, e che grazie ad internet è finalmente patrimonio di tutti.
Quando tempo fa espressi questa idea sulla mia bacheca, iniziai così una discussione con un'amica, la quale sembrò non capire il significato del mio messaggio, e credeva che il mio fosse un girare il capo dall'altro lato. Come dire: di fronte ai miei occhi c'è un sopruso da denunciare, ma io faccio finta di nulla e canto come se il mondo fosse tutto rose e fiori.
No, non è questo il mio intendo. Non dico che si debba nascondere la testa sotto la sabbia, ma voglio che proprio la bellezza sia la risposta a tutto l'orrore che sembra non darci più speranze; è una guerra fra due fronti, l’oscurità e la luce, ed è con il secondo esercito che noi dobbiamo vincere questa battaglia, è portando esempi concreti che possiamo dare fiducia a chi ormai utilizza internet come finestra sulla realtà.
Non sta a me adesso elencare quali siano questi esempi, il mondo ne è pieno e basta davvero poco per trovarli, l’importante è smetterla di condividere link ed immagini deprimenti, o insistere su polemiche fini a se stesse. Perché se da un lato è vero che attaccano e denunciano, è anche vero che ciò che alla fine vediamo è solo una realtà negativa, dove orrore viene sommato ad orrore.
Fatevi un favore, circondatevi di bellezza e fate della vostra vita un’opera d’arte, forse vi prenderanno per edonisti ed egocentrici, (perché si sa che nella nostra società non c’è nulla di peggio che essere felici), ma almeno morirete con l’armonia negli occhi.

mercoledì 23 maggio 2012

Noi, Falcone e la Nuova Resistenza


La nuova resistenza passa anche attraverso una piccola città malata come può essere Caltanissetta.
Città assonnata, dimenticata da tutti, che come i gamberi deve prima fare due passi indietro per farne uno avanti, eppure nel Gennaio 2010, a seguito delle minacce ricevute ai Giudici di Caltanissetta da parte delle cosche di Gela la città ha deciso di stringersi attorno ai propri eroi celebrandoli da vivi e affiancandoli nella lotta quotidiana contro la Mafia per non farli sentire soli. Ed è perseguendo questo scopo che nasce la Scorta Civica, un muro di solidarietà attorno ai nostri Giudici e a tutte quelle persone che lottano ogni giorno affinché questa terra sia un luogo libero in cui crescere senza paura.
Una scorta di cittadini, che da quel 23 gennaio, si è data appuntamento ogni anno davanti il tribunale per manifestare la loro voglia di legalità e di cambiamento, una scorta fatta di giovani, di ragazzi delle scuole, di padri e madri, di liberi professionisti e di uomini dello stato.
Una compagine fresca, lontana da quella che siamo abituati a vedere a Palermo, una realtà dove gli stessi attori recitano una parte da troppi anni, e dove uno strato di polvere sembra aver ricoperto le cose, decidendo che nulla deve cambiare e che tutto deve essere taciuto.
I volti Nisseni hanno una sapore di leggerezza, di novità, non di voglia di cambiamento ma la consapevolezza di essere quel cambiamento, perché è solo partecipando che si diffonde la legalità, solo cambiando le coscienze che si potrà realizzare una società pulita.
Queste emozioni si possono facilmente scoprire nelle foto della mostra di Silvio Zaami, inaugurata per l'occasione proprio il 23 Maggio al Palazzo di Giustizia di Caltanissetta, che raccontano in maniera semplice e senza voler imporre uno scatto ricercato, i volti di quel futuro tanto atteso, riportano il lavoro dei Magistrati dentro gli uffici del Palazzo, ma anche l’entusiasmo e la voglia di vivere dei migliaia di giovani che ogni anno affollano Piazza Falcone e Borsellino per ricordare il sacrificio delle vittime della mafia, ma anche per far sentire la loro presenza ai nostri eroi vivi.
Foto in bianco e nero, che vogliono solo trasmettere l’emozione del momento, dello slancio di una città che ha voglia di cambiare e di non abbassare la guardia.
Le nuove generazioni cresciute all’indomani delle stragi del 1992, con una visione diversa della Mafia e con nel dna il concetto della legalità e della resistenza. E questa Nuova Resistenza trova il simbolo nel piccolo Paolo Borsellino, e nella sua foto col padre Manfredi durante una partita di calcio in ricordo delle stragi di mafia, un bambino che porta il nome di un nonno che non potrà mai abbracciare, ma di cui conoscerà l’eroe che ha sacrificato la sua vita per permetterci oggi di scendere in piazza senza più paura e con la sola voglia di cambiare la Sicilia e i Siciliani.

martedì 15 maggio 2012

Il Max Pezzali che è in te.

Diciamocelo chiaro e tondo, Max Pezzali piace, ma tutti si vergognano ad ammetterlo. Conosciamo a memoria molte delle sue canzoni, le cantiamo in auto o sotto la doccia, ma poi non ci permettiamo di dire umilmente che segretamente ci fa impazzire.
Io non ho mai nascosto la mia stima nei suoi confronti, anzi, da tempo sostengo la sua profondità celata fra le righe di canzoni orecchiabili ed a sfondo leggero, perché anche se non vogliamo ammetterlo, sappiamo bene che la realtà descritta dal Pezzali è proprio quella in cui noi viviamo. Piccole cittadine noiose, ragazzi da sempre innamorati della bella del paese che se la tira, serate passate in auto a girare di locale in locale per poi capire che c’è solo la noia a tenerci compagnia: Max non ci piace perché parla di noi, e noi siamo in fin dei conti persone che vivono vite noiose e che credono di essere uniche.
Purtroppo unici non siamo, ed è inutile che ci identifichiamo in Vasco Rossi e nelle sue canzoni, sogniamo una “vita spericolata” perché crediamo che quello che facciamo “siamo solo noi” a farlo, ma non è così. Che ci piaccia o no, il nostro concetto di vita spericolata è di uscire al sabato sera in auto per finire in una pizzeria, e di spericolato c’è solo il fatto che oggi, in barba alla dieta, ordineremo una pizza più condita del solito, o che poi berremo un bicchiere in più sperando che la polizia non ci accoppi! Mi spiace, ma di spericolato non c’è un bel niente nelle vostre vite, ed è ora che lo sappiate, e quando cantate “siamo solo noi” dovete sapere che non è così, come voi ci sono altre migliaia di persone che si credono uniche ma che alla fine la loro piccola fuga è quel giro in auto la sera in cerca di una pub dove mangiare il solito panino con patatine.
Le persone hanno voglia di evasione, di sentirsi uniche, e finiscono per identificarsi con personaggi e temi che alla fine non raggiungeranno mai, certo è loro diritto sognare, ma mi chiedo solo se poi si rendano veramente conto che la realtà che li circonda è ben diversa, un po' come quando all'indomani del nuovo successo di Jovanotti, tutti scrivevano che loro erano “il più grande spettacolo dopo il big bang”, una frase che ha fatto registrare il tutto esaurito nel settore banalità, ma che soprattutto dura giusto il tempo della durata di quel rapporto e poi ripeto, il vostro amore non ha nulla di unico, è ora che ve ne facciate una ragione!

Così torna il verbo di Max, che alla fine parla proprio di noi, delle piccole realtà in cui siamo sprofondati, delle nostre vite strette che ci rendono piccoli e tristemente normali, però lui lo fa con tono ironico, ad esempio in brani come “Viaggio al centro del mondo”, in cui il protagonista, dopo aver descritto l’euforia della grande città, si chiede se lui ed i suoi amici possano davvero vivere in un luogo del genere, loro che forse sono “troppo lenti o troppo tonti”, e così potremmo continuare a portare esempi di una sconvolgente quotidianità che viene sempre descritta in tono così sfacciato da non voler esser visto, e quindi finisce per essere denigrato.
Certo, ora non voglio dire che Max è per me la principale fonte di ispirazione, ma che piaccia o no, è tempo di andare al di là dell'uomo ragno per vedere che più di ogni altro artista lui descrive esattamente come siamo, noi non siamo quello che descrivono Vasco o Ligabue, non siamo eterei come i brani di Battiato e nemmeno così vintage come le parole di Conte, non siamo spirituali come Jovanotti o melanconici come la Consoli, immedesimarci in questi modelli ci aiuta solo a star male, a sentirci frustrati a causa di un'esistenza che noi non riusciremo mai ad avere, noi siamo gli sfigati di provincia descritti da Max Pezzali, e questo ci spaventa, perché di fatto non ci piaciamo e vorremmo essere unici, ed è per questo che sogniamo la vita degli altri mentre sprofondiamo nella noia e nell'anonimato.

Luciano Zaami

giovedì 26 aprile 2012

Sono un Populista perché voglio che le cose cambino



Lo ammetto, sono un Populista, o quantomeno lo ero, infatti ora non lo sono più, ma un tempo, vi giuro, ero il peggiore dei populisti e qualunquisti.
Se non sono più populista non è perché ho cambiato idea, ma solo grazie al fatto che adesso in molti la pensano come me, e che quindi il numero dei populisti è fortemente aumentato!
Fino a qualche anno fa infatti, pretendere che il numero dei parlamentari fosse ridotto era da populista, come chiedere la diminuzione degli stipendi degli stessi, l’abolizione dei privilegi, la soppressione delle province, eliminare il finanziamento pubblico, insomma, sembrava che ogni richiesta all'apparenza logica fosse solo un espressione di populismo.
La cosa buffa era che io non capivo il perché la gente mi desse del qualunquista, mi sembrava ovvio che i nostri politici stessero compiendo degli illeciti, ed era giusto fermare questo spreco di privilegi e denaro.
Ma spesso il buon senso ha bisogno di tempo per diffondersi, o forse, come sempre accade nel popolo italiano, decidiamo di indignarci solo quando abbiamo toccato il fondo (non sempre ad essere sinceri, visto che sono almeno dieci anni che abbiamo oltrepassato i limiti).
Ed ora, tutti quei partiti che prima attaccavano i populisti, corrono ai ripari, e pur di salvarsi propongono soluzioni completamente “sovversive”, come l'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, o la riduzione del numero dei parlamentari, davvero un ragionamento che fino a qualche settimana fa veniva considerato da “antipolitici”. Ma ovviamente non solo i partiti stanno cambiando faccia (come se del resto la crisi che viviamo oggi non sia stata causata proprio da loro), ma anche i cittadini “populeggiano” di brutto!
Personalmente, quando qualcuno (in pratica tutti) diceva che questo modo di fare era da qualunquista, io facevo un altro tipo di osservazione: i populisti non sono quelli che la pensano come me, ma quei politici, che da cinquant'anni continuano a proporre (promettere) le stesse cose senza che davvero si decidano a realizzarle, promettono infrastrutture, lavoro, sviluppo, trasporti, e bla bla bla... secondo voi chi è il populista? Non sono forse loro? E non è forse vero che continuare a sostenere un sistema sbagliato e corrotto, dicendo che è l'unico possibile, è un atteggiamento da populista? Possibile che non accettiamo che agli stessi problemi ci siano soluzioni alternative e rivoluzionarie? Non sono populisti anche quei cittadini che continuano a vedere in seno al vecchio sistema l'unica soluzione? Ma come possiamo pensare di trovare proprio in quel marcio che ci ha portato a questa crisi, la soluzione ad essa?
A forza di ascoltare promesse mai mantenute, siamo convinti che questo sia l'unico modello valido, ed invece il tempo continua a passare... prendete ad esempio il problema dell'acqua in Sicilia, ci avete fatto caso che questi promettono l'acqua dal dopoguerra e nulla è cambiato? Anzi no, il problema si è risolto da solo, infatti il clima è mutato ed adesso piove più qui che al nord! Qui si tratta di attendere intere ere geologiche se non ci diamo una mossa!
Ora io non voglio stare qui a suggerirvi chi dovreste votare, ma dico solo che trovo assurdo avere paura di cambiare, ma questo lo dico in generale per ogni aspetto della vita, questa crisi potrebbe essere una grande opportunità per il nostro paese, ma nessuno vuole davvero rischiare, nessuno vuole perdere i propri privilegi e si cerca di tornare ad un sistema ormai morto, che non può più offrire nulla perché, come si suol dire, ha già dato. E pur di non vedere la realtà dei fatti si continua ad inneggiare al populismo e all'antipolitica, ma è solo paura di guardare in faccia l'alternativa o la proposta di soluzioni diverse ai problemi creati dai soliti noti. Io dico, abbiamo avuto per cinquant'anni le stesse facce, proviamo adesso qualcosa di diverso, e se non ci piace possiamo tornare pure a farci prendere per i fondelli dalla vecchia classe politica, che ci costa? Credete davvero che potrebbe andare peggio di così? Ma per diverso non intendo il solito partito politico, ma qualcuno che proponga davvero un modo di vedere le cose rivoluzionario, partendo dalle piccole cose quotidiane!
Se qualcuno non l'avesse capito, il momento è delicato, e siamo ad una soglia, siamo al punto in cui potremmo davvero dar vita ad un grande cambiamento. Una porta è un limite e come tale rappresenta tutto ciò che non riusciamo a lasciare o ciò da cui stiamo scappando. E' il confine tra coraggio e paura. Varcare una soglia può essere l'inizio della più grande delle avventure. Ma è anche un gesto semplice, che compiano mille volte al giorno, senza nemmeno pensarci.

giovedì 12 aprile 2012

Solo la bellezza potrà salvarci da tutto questo orrore...

“Solo la bellezza potrà salvarci da tutto questo orrore”, è una frase che amo ripetere spesso, da anni ormai, perché è da tempo che ho capito che solo il bello può motivare ed ispirare gli uomini, solo l’armonia è contagiosa e ci mette in pace con quello che ci circonda.
Amo la Sicilia, perché è un luogo stupendo, o meglio lo è stato, quando infatti mi trovo a girare per paesi e città non posso fare a meno di notare l’orrore che è stato creato dal dopoguerra ad oggi, palazzi senza prospetto, discariche, cemento gettato senza una logica… sembra che il bello ed il buon senso abbiano abbandonato questi luoghi per far spazio alla mediocrità.  Di chi è la colpa? Come è stato possibile che in pochi decenni siamo stati capaci di distruggere quello che in più di duemila anni ci hanno lasciato le più grandi civiltà della storia? Colpa della democrazia e della repubblica? Forse è vero che gli italiani non sono un popolo capace di vivere nella libertà, andiamo comandati e gestiti, perché basta lasciarci un po’ di autonomia che subito tendiamo ad approfittarne ed a guardare solo al nostro tornaconto senza accorgerci che ogni nostra azione va a discapito di qualcos’altro.
Vivere in Sicilia è difficile, specialmente se abiti in una piccola città perennemente in difficoltà e che non ti da gli stimoli necessari a rendere le giornate un po’ più interessanti, ma più di questo, quello che spesso mi fa venir voglia di fare le valige e andare via è proprio l’abusivismo ed il degrado che in tanti anni hanno preso piede ovunque, dalle grandi città ai più piccoli paesi, e mi sconforto se penso che quello che è stato costruito difficilmente verrà abbattuto.
Il rimedio, per quanto blando, è sempre lo stesso, fare quadrato e lottare contro l’ignoranza di quei politici che hanno permesso questo scempio, fare in modo che si diffonda una nuova cultura della legalità e della bellezza, perché ormai ciò che è stato fatto non potrà essere cancellato, ma possiamo evitare che si ripeta in futuro. Non so quanto queste azioni saranno efficaci in una regione capace di ricadere negli stessi errori ormai, ma almeno potremo dire di non esser stati loro complici.

Luciano Zaami

giovedì 22 marzo 2012

Il risveglio delle Coscienze


Lu Xun fu il più grande scrittore cinese del 900, egli divenne famoso ed immortale grazie ai suoi saggi brevi, scritti di anche due pagine, capaci però in poche righe di smuovere le coscienze di tutta la Cina.
La sua metafora più famosa è quella in cui immaginava il suo paese come una grande scatola di ferro dalla quale non si poteva ne entrare ne uscire, sigillata, chiusa senza alcun modo di scalfirla, ed al cui interno viveva addormentato il popolo cinese, sprofondato in un lungo sonno.
Lu Xun si chiedeva cosa sarebbe successo, se almeno una di queste persone si fosse svegliata ed avesse così realizzato la situazione senza uscita in cui si era venuta a trovare.
Era dunque giusto provare a risvegliare il popolo cinese? Valeva la pena scrivere articoli, saggi, partecipare attivamente alla vita culturale di una giovane nazione (com’era la Cina del post impero), per poi aprire gli occhi ad un popolo senza speranza?
Mi chiedo spesso quanto questo valga per Caltanissetta e la Sicilia intera. In effetti, che vale il risveglio di pochi quando tutti ancora dormono? Aprire gli occhi ai singoli per mostrargli solo l’orrore che li circonda è forse giusto? Non sarebbe meglio lasciarli nella loro beata ignoranza?Certo, sono lamentosi, ma del resto felici, sazi dei loro riti e delle loro vite minime.
La tentazione è forte, ma come te caro lettore, non posso andare contro la mia natura, e trovo mio dovere continuare a percorrere la strada che ho intrapreso, non per spirito di martirio, ma perché io sono questo.
A cosa dobbiamo quindi puntare?

Molti, sempre più spesso, mi propongono progetti, mi chiedono di aderire ad associazioni, movimenti e partiti, vorrebbero, giustamente, fare qualcosa di concreto. Ed io non posso fare altro che vedere ogni mese nascere l'ennesima associazione per il rilancio di Caltanissetta, associazione che purtroppo mi lascia sempre perplesso, perché so che il più delle volte, eccetto un primo entusiasmo, a lunga distanza resta davvero poco di tutti i buoni intenti.
Personalmente non credo sia l’unico metodo da adottare, è inutile avviare progetti ambiziosi che a Caltanissetta richiederebbero sforzi sovrumani per poi avere un ritorno di pubblico bassissimo.
Inutile creare eventi che già presuppongono un popolo educato e sensibile a certe tematiche, in una città dove il senso civico non esiste.
A cosa quindi bisogna lavorare? Dove andrebbero canalizzati i nostri sforzi?
Io credo si debba cercare di risvegliare quel popolo che dorme dentro la scatola di ferro, educarli, renderli cittadini consapevoli e sensibili, fare in modo che Caltanissetta non abbia solo uno stretto gruppo di partigiani che si incontrano agli eventi che loro stessi organizzano, dobbiamo invece riuscire a coinvolgere tutta la popolazione.
Prima di fare una rivoluzione, bisognerebbe avere un popolo alle spalle che la condivida, altrimenti faremo la fine del Movimento dei Forconi, ovvero una grande manifestazione che non ha saputo dare voce ai Siciliani, ed è per questo che non è riuscito a portare avanti la sua battaglia. Si deve fare in modo che sia il popolo a rivendicare certi diritti, in modo che sia lui stesso a spingere i rappresentanti dei vari movimenti. Si deve quindi avere la partecipazione!
Lavorare sulle coscienze, utilizzare ogni mezzo per coinvolgere ed educare le persone, e soprattutto, puntare sulle nuove generazioni, perché oramai quelle passate hanno perso la loro occasione di dare un senso alla loro esistenza. Sembrerà banale, ma ciò che serve è la cultura!
Come dissi l’altra sera ad un amico, è inutile creare nuove associazioni, in questo modo non facciamo altro che disperdere le energie e fare il gioco dei potenti che ci vogliono divisi.
Caltanissetta ha tante realtà meravigliose che lavorano bene, allora dobbiamo ingrossare le fila di queste associazioni, essere attivi, ma in contesti già radicati nel territorio; la creazione dell’evento in se, senza coinvolgere i cittadini è fine a se stesso ed anche auto celebrativo.
Essere attivi non vuol dire solo tesserarsi, ma lavorare a tutte le fasi di un’iniziativa senza mai perdere di vista l’utente finale, colui a cui recapitare il nostro messaggio, quel cittadino che da sempre dorme nella scatola di ferro.

domenica 11 marzo 2012

Pensieri sull'8 Marzo...

Chi mi conosce sa bene che io non amo le feste comandate, tutto quello che è Ferragosto, Pasquetta e cose simili, riescono ad irritarmi piuttosto che accendere in me la voglia di far festa e di stare insieme. Ci sono poi ricorrenze che per me rappresentano veri e propri banchi di prova contro la depressione, parlo della lunga pausa che va dalla vigilia di Natale all’Epifania, due settimane di sofferenza, di tentativi di resistere ad un interminabile vuoto che per quanto breve riesce a segnare il periodo più brutto dell’anno. Non chiedetemi il perché, ma se c’è una festa, io sono quello che non si diverte.
Ma più che le feste comandate, ultimamente cominciano ad irritarmi gli “anticonformisti ad ogni costo”. Il fenomeno è facilmente riscontrabile su facebook, dove non c’è ricorrenza che non abbia una coda di persone che passano il loro tempo a scrivere quanto sia stupido festeggiare quel giorno.
Io credo che questo sia diventata la cosa più banale che ci possa essere, è la banalità nel voler essere originali o quantomeno critici. Anche perché, alla fine, il parlarne male equivale comunque a parlarne, quindi volenti o nolenti anche loro stanno in qualche modo ricordando quel giorno.
Gli ultimi esempi sono stati San Valentino e la Festa della donna, dove gli schieramenti erano opposti ed agguerriti, c’era chi pubblicava cuoricini e mimose, e chi invece gridava che la coppia o la donna va ricordata tutto l’anno.
Personalmente (anche se so che spesso mi parte la critica) penso che se una cosa non interessa non bisogna parlarne, se lo fai vuol dire che ci pensi, un po’ come chi parla sempre dalla sua ex dicendo che è finita e non ci pensa più, ma allora perché ne parli?
C’è anche da aggiungere, che alla fine, è giusto anche rispettare il pensiero degli altri, e se una coppia vuole festeggiare San Valentino, che lo faccia pure, ma alla fine che ci cambia? Alcune donne danno un significato particolare all’8 marzo? Va bene così! Perché fare sempre i bastian contrari? Questo gusto di dover sempre essere alternativi. Muore un cantante? E tutti a criticare il fatto che adesso la gente diventa all’improvviso fan di quell’artista. Beh, non è che diventatata fan, ma lo stanno commemorando, come si ricorda un parente morto, che magari vedevi una volta l’anno ma che alla fine vuoi omaggiare quantomeno partecipando al suo funerale. Non è che uno può ogni giorno pubblicare link di tutti gli artisti che stima così poi da non dover passare per banale una volta morti. Ci sono cose o persone che ci tornano alla mente solo in certi casi, e questo non vuol dire che non sono importanti, lo sono stati e lo saranno sempre, ma purtroppo non possiamo contenere tutto nella nostra testolina.
In buona sostanza, che bisogno c’è di fare sempre i “kontro” ad ogni costo?
Ma un pacchetto di cazzi vostri ogni tanto no eh? 

lunedì 6 febbraio 2012

L'eredità dei Forconi...


Sono passate quasi due settimane dai quei cinque giorni che hanno paralizzato la Sicilia, il Movimento dei Forconi è ancora attivo, anche se non si capisce bene che cosa gli passi per la testa.
Ma al di là di quello che accadrà nei prossimi giorni, (forse nulla o forse tutto), è giusto fare un piccolo bilancio di questo Movimento che comunque ha messo in moto alcune dinamiche interessanti.
Personalmente ho da subito abbracciato i motivi della protesta, non perché fossi certo che sarebbe partita un'onda che avrebbe contagiato l'Italia intera, ma perché è ormai da tempo che credo che prima dei grandi slanci dobbiamo lavorare sul risveglio delle coscienze dei Siciliani, un popolo a mio avviso stanco, sfiduciato e vittima dei suoi errori. Vedere quindi un sussulto popolare di questa portata mi ha comunque emozionato, proprio perché dobbiamo riprendere possesso della nostra identità se vogliamo assicurarci un futuro.
C'è stata quindi la partecipazione della gente, da entrambi i fronti, chi era pro e chi contro, si è assistito ad un dibattito acceso fra il popolo che per la prima volta si è messo in discussione su temi di interesse comune, e mettendo da parte la solita politica ormai morta e sepolta ha finalmente parlato di problemi concreti e non di ideologie.
Ma per quanto si possa essere a favore o contro di quel blocco che ha sicuramente causato dei disagi ai Siciliani ottenendo un nulla di fatto, non possiamo ignorare che i media nazionali abbiano totalmente snobbato e diffamato la protesta in atto.
Si può condividere o meno il Movimento dei Forconi, ma che nessuno in Italia ne sapesse nulla è stato davvero umiliante per noi Siciliani. I giornali hanno infatti reputato più importate la protesta dei tassisti romani, perché è ovvio che qualche centinaio di tassisti possono mettere in ginocchio una capitale ed una nazione, molto più che migliaia di Siciliani che abbracciavano una protesta che aveva di fatto bloccato le esportazioni di beni e di carburante verso il nord.
Ma più che il silenzio ha fatto male la diffamazione operata dagli stessi giornalisti verso il Movimento e verso tutti i suoi sostenitori tacciandoli prima di legami con Forza Nuova, poi di infiltrazioni mafiose, come se di base non possa nascere nel meridione una forma di protesta che non sia pilotata.
Certo, in un movimento di queste proporzioni e nato dal basso non mancano le ombre, sarebbe stupido negarle, ma di fatto non si può ignorare il lato buono della lotta per portare alla ribalta solo ciò che stona, anche perché in molti casi i media hanno calcato l'accento su episodi dubbi o di poco conto.
Da questa vicenda nascono diverse domande: come mai questo silenzio? Forse si voleva evitare di far dilagare la protesta in tutta Italia o forse neanche i giornalisti avevano capito l'importanza della manifestazione?
Eppure dopo i primi giorni era evidente che questi blocchi avevano una portata enorme per una regione che di solito preferisce subire e rassegnarsi piuttosto che alzare la testa...
A questo punto sorgono altre domande: che forse noi Siciliani siamo cittadini di serie b? Si ricordano di noi solo per riportare notizie di cronaca o che non fanno onore ad una regione che poi così malata non è?
Le riflessioni sono tante e le conclusioni, a parer mio, sono di non dimenticare questa lezione, e di rivalutare seriamente il ruolo della Sicilia all'interno del sistema Italia. Per carità, nessuno qui grida al secessionismo, ma sarebbe il caso di rileggere la nostra storia e di sentirci prima di tutto siciliani e poi italiani, perché è solo partendo dal nostro quotidiano che potremo davvero cambiare le cose.
Inoltre ho visto fra la gente tanta confusione su argomenti come lo Statuto Speciale, il meridione parassita e il nord che paga, la nostra storia passata e recente; ed è per questo che si deve lavorare sull'identità di noi Siciliani, perché è solo capendo a fondo i nostri pregi e difetti che riusciremo davvero a vedere questa regione non come un luogo da cui fuggire a causa degli altri (perché qui è sempre “colpa degli altri”), ma come una terrà ricca di opportunità e che ha bisogno solo del contributo di tutti i suoi abitanti per cambiare radicalmente.

Luciano Zaami

lunedì 16 gennaio 2012

Una città senza passato è anche una città senza più futuro

A seguito del mio percorso iniziato su Caltanissetta ed il suo malessere, ho ricevuto diversi commenti che mi hanno inevitabilmente dato ottimi spunti per agire e reagire.
Caltanissetta è un paziente, tutti ne conosciamo la patologia ma, come spesso accade in medicina, non riusciamo ad identificare l’origine di questo male.
Eppure in quest’ultimo periodo sembra che qualcuno abbia cominciato ad intuire qualcosa, e la notizia si sta diffondendo di bocca in bocca.
Io stesso l’ho appresa qualche mese fa, da un’amica durante una pausa sigaretta su di un balcone che dava sulla centralissima Corso Umberto; lei mi disse di far caso al fatto che a Caltanissetta i Nisseni DOC erano pochi.
Lentamente cominciai a controllare la provenienza della generazione dei nostri genitori e poi anche quella dei nonni, ed in parte è vero. Io stesso sono di padre palermitano, e da parte di mia madre, sia mio nonno che mia nonna non sono originari di Caltanissetta.
Questo va collegato al fatto che dopo aver acquistato il ruolo di capoluogo, Caltanissetta abbia attratto dai paesi molte persone che venivano a lavorare negli uffici, e di conseguenza buona parte della popolazione non era Nissena e forse non amava questo grande paese abbandonato nel cuore dell’isola.
Teoria interessante e plausibile, generazioni di Nisseni che non amavano la loro città e che hanno quindi diffuso questo malessere e forse odio verso un luogo che poi così brutto non è. Del resto sono proprio i genitori a spingere i loro figli ad andare via, senza nemmeno invitarli prima a provare a costruire qualcosa. Qui arrivati ai 18 anni si va via, è questa è la norma.

Sempre parlando con amici e lettori, mi hanno fatto notare che forse, i nostri politici, hanno volutamente cancellato la nostra storia perché questa non è nobile, è un passato duro e triste, fatto di agricoltura, miniere e di povertà.
Che forse la nostra storia non è tutta rose e fiori è anche vero, ma non per questo va dimenticata, perché altrimenti si viene a creare questa situazione di ignoranza riguardo le proprie origini che  portano ad avere vergogna per la propria terra e cultura.
La storia è un fatto, e l’unica cosa che possiamo fare è accettala, nel nostro caso, visto che poi non si tratta di nulla di vergognoso, ha una valenza doppia, perché ci ricorda da dove veniamo, quali e quanti sono stati i sacrifici dei nostri padri, e ci spinge a lavorare per scrivere adesso una storia in positivo, non fatta di emigrazione, ma di cittadini che amano la loro terra e che cercano un riscatto.

Personalmente, e so che questo causerà delle polemiche, credo che buona parte di questa mancanza di autostima debba attribuirsi a ciò che è successo dall’Unità d’Italia in poi. Per più di cento anni ci hanno convinto che in Sicilia e nel Sud si stava male, che i Borboni erano dei tiranni, che chi lottava per la sua terra era un Brigante,  e che l’unica soluzione era quella di emigrare.
Hanno scritto una nuova storia, e ci hanno fatto credere che tutto quello che accadeva dal Napoli in giù fosse negativo e da cancellare.
In cuor nostro sappiamo che il Sud è stato per secoli il centro della cultura Italiana, eppure a scuola ci fanno studiare tutto su Lorenzo Dei Medici, ed a stento sappiamo chi era Federico II.
Le nostre città sono piene di strade intitolate ai Savoia, ma stranamente non ci sono vie per Ruggero il Normanno, o comunque non quanto dovrebbero essere. Volete un esempio? Andate su google e cercate Lorenzo De Medici e Ruggero il Normanno, resterete stupiti dalla differenza di voci riguardanti i due personaggi storici.
Tutto questo faceva parte di un progetto ben più ampio, fatta l’Italia bisognava fare gli Italiani (perché diciamocelo, siamo stati separati dalla caduta dell’Impero Romano all’unità d’Italia, viene quindi spontaneo chiedersi se davvero erano presenti i presupposti per parlare di popolo Italiano).
Per fare gli Italiani bisognava cancellare la storia del sud per sostituirla con una nuova di zecca, una storia così estranea al nostro passato che alla fine ci ha reso stranieri in patria e ci ha spinti ad andare verso un nord del quale si è sempre parlato con toni positivi e che quindi era la meta sognata.
Ovviamente non voglio generalizzare, perché il concetto di Penisola e di Bel Paese è sempre esistito, ma di certo si è fatto molto per farci dimenticare la nostra identità.
Credo quindi necessario un impegno da parte delle istituzioni locali, e di NOI cittadini, a far riscoprire la propria terra, perché solo capendone la grandezza riusciremo ad impegnarci per fare in modo che questa isola diventi davvero nostra.
Il nostro carattere è stato fortemente forgiato dal territorio e dalla nostra storia, eppure sconosciamo entrambe.
Prima di essere Italiani cerchiamo di essere Siciliani, altrimenti saremo sempre un popolo di emigranti che non sa da dove viene né dove va.

domenica 8 gennaio 2012

La ricerca di una terza via: Un Modello Siciliano.

Anche quest’anno, le città Siciliane, sono risultate essere le ultime dalla classifica del Il Sole24Ore.
Un triste primato che si ripete ogni anno, e che sembra non interessare ai nostri politici che fanno di tutto affinché nulla cambi qui in terra di Trinacria.

Ultimamente ho però maturato un nuovo modo di vedere le cose, non solo per la Sicilia ma per tutto il Sud Italia, la mia domanda è: e se avessimo sbagliato il metodo d’approccio per lo sviluppo del Meridione?
Ed ancora: Possiamo davvero parlare di Sviluppo in una terra già ricca di suo storicamente?

Quello che sto per dire, potrà sembrare dai toni forti, invece va visto in maniera lucida e tenendo conto della storia del nostro Meridione.

Come già ho scritto nel mio blog i Siciliani, come tutte le genti del Sud Italia, soffrono del male della “perdita dell’identità”, la nostra storia è stata nascosta ed in alcuni casi addirittura cancellata, questo ha portato ad avere un popolo che vive in una terra senza passato; un luogo fatto di un presente senza valore ed in un futuro incerto.
Al nostro retaggio è stato sostituito un nuovo modello, quello Settentrionale. Modello sognato, di benessere e felicità che si realizza solo emigrando, (perché qui questo modello sembra non funzionare).
In Sicilia sappiamo bene che arrivati ad una certa età si deve andar via, perché al Sud non c’è nulla, mentre al Nord si sta bene, si vive meglio e tutto è più bello, o forse questo è solo quello che per anni abbiamo creduto?
Ma dov’è che abbiamo sbagliato?
Sappiamo che in passato si è provato ad applicare al Sud un modello che non ci appartiene, quello industriale che è fallito per motivi storici, ma anche geografici.
Come possiamo applicare una modello ad un sistema che per sua natura non potrà mai farlo suo? Semplicemente non possiamo.

Finché guarderemo al Nord come una terra promessa, ne verremo attratti e non riusciremo mai a fermare il flusso migratorio che da sempre flagella il Sud.
A cosa dobbiamo quindi puntare?
Credo che sia giunto il tempo di cercare una terza via, un “Modello Siciliano” che possa diventare il nostro vero motore per lo sviluppo.
Quello che per altri è lentezza è pigrizia, non è altro che il nostro modo d’essere e di vivere, quello del Meridione è un sistema che si è evoluto in secoli di storia e che adesso viene dipinto come negativo. Perché quindi vergognarsi del nostro modo di essere? Della nostra cultura e delle nostre radici? Chi ci dice che il nostro modo di essere sia quello sbagliato? Non sarebbe ora di smetterla di piangerci addosso?
Ciò che si deve fare è analizzare i nostri punti di forza, e costruire su quelle basi. Sfruttare al massimo le nostre risorse che sono quelle del turismo, della cultura e del mangiar sano. Fare in modo che la Sicilia diventi il centro del Mediterraneo sia come punto di snodo logistico, che come eccellenza turistica.
Facciamo in modo che il nostro Essere Siciliani, diventi una caratteristica unica e positiva, un pregio e non una sventura.
Far capire ai giovani che “quello che siamo” non è un fattore di cui vergognarsi, e che l’unico modo per evitare che le generazioni future lascino la Sicilia è quello di non abbandonarla adesso, ma di rimboccarsi le maniche e di creare sviluppo ora.

Dobbiamo essere noi Siciliani a rialzarci e metterci al lavoro, senza attendere leggi giuste che mai verranno, e senza chiedere aiuto al politico di turno.
Abbiamo perso la voglia di lottare e di amarci, attendiamo da sempre che qualcosa accada, e non abbiamo capito che tutto dipende da noi, che il nostro futuro e la nostra felicità esisteranno solo se noi lo vorremo.
Rialziamoci dunque, e mettiamoci a lavoro!