Caltanissetta, primavera 2006.
Dalla finestra della mia camera, quando sono sdraiato sul
mio letto, posso vedere le cime dei pini che si trovano dietro la mia casa, e
il cielo.
Quando è sereno l’intenso azzurro contrasta con il verde
degli alberi, e mi diverto a guardarli, fissi immobili, come un quadro a tinte
forti, altre volte vengono invece mossi dal vento.
La notte, se le congiunzioni lo permettono, viene a trovarmi
la luna, enorme e lontana, riempie la mia camera di luce argentea, e ancora una
volta posso ammirare le cime dei pini.
Dalla mia stanza gusto una larga porzione di cielo notturno,
e con esso le stelle. In estate ne vedo molte di cadenti, qualcuna è verde o
rossa, lampi, meteore così veloci che spesso ti chiedi se non sia stato solo
frutto della tua immaginazione.
Nelle giornate ventose, un sinistro ronzio avvolge la mia
casa, che battuta dai venti come una nave in tempesta non può che subirli
tentando di contrastarli.
Ci si abitua a tutto, anche al rumore costante del vento che
spesso soffia per giornate intere, scuote persiane, rende i cani nervosi
facendoli ululare, si infila dentro le canne fumarie dei camini formando strani
suoni, come le urla o i lamenti che i viaggiatori udivano nel deserto del Gobi,
ingannati dal sottile gioco di Zeffiro.
Eppure un’altra cosa che accomuno a Caltanissetta è il
vento. Quel soffio umido che rende il nostro inverno peggiore di quello del
nord Europa, il vento che fa infilare il freddo nei tuoi abiti e poi nelle
ossa. Il vento che taglia le mani e il viso, quello che fa sbandare le auto
sull’autostrada.
Forse questo è un altro tassello di queste genti
dell’entroterra così complesse. Popoli che passano da estati secche e torride a
inverni umidi, piovosi e ventosi.
Spesso, e con gioia, arriva il vento di scirocco, giunge in
Sicilia ancora carico di sabbia del deserto, e lo senti nell’aria, lo avverti,
modella ancora l’umore rendendoti stranamente nervoso. Poi riempie il cielo di
nubi rosse, enormi ammassi di fuoco che si librano sopra le nostre teste, grovigli
sinistri di colate laviche sospese a mezz’aria. Cade la pioggia, acqua calda in
vento caldo, e ciò che resta alla sua dipartita è una distesa di sabbia rossa,
che tinge le auto, i selciati delle strade, e ha sporcato i vestiti stesi al
sole ad asciugare.
Di tutti i fenomeni che avvolgono la Sicilia, questo è uno
di quelli che ci fa sentire orgogliosi. Lo Scirocco, vento amico che proviene
da sud, quasi un conoscente che ogni tanto viene a farci visita, una persona
lontana eppure di casa.
Anche in estate il vento fa la sua comparsa. Carezza le cime
degli alberi, creando un dolce suono di foglie e sospiri.
Nel vuoto della campagna nissena ci si imbatte in piccole
macchie di alberi di eucalipto, e lontani dal caldo, all’ombra dei loro
tronchi, godi del rumore del vento e del profumo fresco delle foglie.
Adesso è primavera, e ovunque è un tappeto di erba e fiori
di campo.
Il vento soffiando crea increspature sui campi di grano, e
sembra proprio un mare verde che fa avanzare le proprie onde alla ricerca di
una spiaggia su cui infrangersi. Nei campi arati male, crescono macchie di
papaveri e di altri fiori di campo, chiazze di rosso, viola e giallo compaiono
all’improvviso dietro una collina, mentre sciami di insetti ronzano per posarsi
sui loro talami.
Tratto da: Derive e Approdi di Luciano Zaami. Edizioni Orientexpress. Napoli 2011
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