mercoledì 28 novembre 2012

Caltanissetta e il vento...


Caltanissetta, primavera 2006.

Dalla finestra della mia camera, quando sono sdraiato sul mio letto, posso vedere le cime dei pini che si trovano dietro la mia casa, e il cielo.
Quando è sereno l’intenso azzurro contrasta con il verde degli alberi, e mi diverto a guardarli, fissi immobili, come un quadro a tinte forti, altre volte vengono invece mossi dal vento.
La notte, se le congiunzioni lo permettono, viene a trovarmi la luna, enorme e lontana, riempie la mia camera di luce argentea, e ancora una volta posso ammirare le cime dei pini.
Dalla mia stanza gusto una larga porzione di cielo notturno, e con esso le stelle. In estate ne vedo molte di cadenti, qualcuna è verde o rossa, lampi, meteore così veloci che spesso ti chiedi se non sia stato solo frutto della tua immaginazione.
Nelle giornate ventose, un sinistro ronzio avvolge la mia casa, che battuta dai venti come una nave in tempesta non può che subirli tentando di contrastarli.
Ci si abitua a tutto, anche al rumore costante del vento che spesso soffia per giornate intere, scuote persiane, rende i cani nervosi facendoli ululare, si infila dentro le canne fumarie dei camini formando strani suoni, come le urla o i lamenti che i viaggiatori udivano nel deserto del Gobi, ingannati dal sottile gioco di Zeffiro.
Eppure un’altra cosa che accomuno a Caltanissetta è il vento. Quel soffio umido che rende il nostro inverno peggiore di quello del nord Europa, il vento che fa infilare il freddo nei tuoi abiti e poi nelle ossa. Il vento che taglia le mani e il viso, quello che fa sbandare le auto sull’autostrada.
Forse questo è un altro tassello di queste genti dell’entroterra così complesse. Popoli che passano da estati secche e torride a inverni umidi, piovosi e ventosi.
Spesso, e con gioia, arriva il vento di scirocco, giunge in Sicilia ancora carico di sabbia del deserto, e lo senti nell’aria, lo avverti, modella ancora l’umore rendendoti stranamente nervoso. Poi riempie il cielo di nubi rosse, enormi ammassi di fuoco che si librano sopra le nostre teste, grovigli sinistri di colate laviche sospese a mezz’aria. Cade la pioggia, acqua calda in vento caldo, e ciò che resta alla sua dipartita è una distesa di sabbia rossa, che tinge le auto, i selciati delle strade, e ha sporcato i vestiti stesi al sole ad asciugare.
Di tutti i fenomeni che avvolgono la Sicilia, questo è uno di quelli che ci fa sentire orgogliosi. Lo Scirocco, vento amico che proviene da sud, quasi un conoscente che ogni tanto viene a farci visita, una persona lontana eppure di casa.
Anche in estate il vento fa la sua comparsa. Carezza le cime degli alberi, creando un dolce suono di foglie e sospiri.
Nel vuoto della campagna nissena ci si imbatte in piccole macchie di alberi di eucalipto, e lontani dal caldo, all’ombra dei loro tronchi, godi del rumore del vento e del profumo fresco delle foglie.
Adesso è primavera, e ovunque è un tappeto di erba e fiori di campo.
Il vento soffiando crea increspature sui campi di grano, e sembra proprio un mare verde che fa avanzare le proprie onde alla ricerca di una spiaggia su cui infrangersi. Nei campi arati male, crescono macchie di papaveri e di altri fiori di campo, chiazze di rosso, viola e giallo compaiono all’improvviso dietro una collina, mentre sciami di insetti ronzano per posarsi sui loro talami.

Tratto da: Derive e Approdi di Luciano Zaami. Edizioni Orientexpress. Napoli 2011

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