A seguito del mio percorso iniziato su Caltanissetta ed il suo malessere, ho ricevuto diversi commenti che mi hanno inevitabilmente dato ottimi spunti per agire e reagire.
Caltanissetta è un paziente, tutti ne conosciamo la patologia ma, come spesso accade in medicina, non riusciamo ad identificare l’origine di questo male.
Eppure in quest’ultimo periodo sembra che qualcuno abbia cominciato ad intuire qualcosa, e la notizia si sta diffondendo di bocca in bocca.
Io stesso l’ho appresa qualche mese fa, da un’amica durante una pausa sigaretta su di un balcone che dava sulla centralissima Corso Umberto; lei mi disse di far caso al fatto che a Caltanissetta i Nisseni DOC erano pochi.
Lentamente cominciai a controllare la provenienza della generazione dei nostri genitori e poi anche quella dei nonni, ed in parte è vero. Io stesso sono di padre palermitano, e da parte di mia madre, sia mio nonno che mia nonna non sono originari di Caltanissetta.
Questo va collegato al fatto che dopo aver acquistato il ruolo di capoluogo, Caltanissetta abbia attratto dai paesi molte persone che venivano a lavorare negli uffici, e di conseguenza buona parte della popolazione non era Nissena e forse non amava questo grande paese abbandonato nel cuore dell’isola.
Teoria interessante e plausibile, generazioni di Nisseni che non amavano la loro città e che hanno quindi diffuso questo malessere e forse odio verso un luogo che poi così brutto non è. Del resto sono proprio i genitori a spingere i loro figli ad andare via, senza nemmeno invitarli prima a provare a costruire qualcosa. Qui arrivati ai 18 anni si va via, è questa è la norma.
Sempre parlando con amici e lettori, mi hanno fatto notare che forse, i nostri politici, hanno volutamente cancellato la nostra storia perché questa non è nobile, è un passato duro e triste, fatto di agricoltura, miniere e di povertà.
Che forse la nostra storia non è tutta rose e fiori è anche vero, ma non per questo va dimenticata, perché altrimenti si viene a creare questa situazione di ignoranza riguardo le proprie origini che portano ad avere vergogna per la propria terra e cultura.
La storia è un fatto, e l’unica cosa che possiamo fare è accettala, nel nostro caso, visto che poi non si tratta di nulla di vergognoso, ha una valenza doppia, perché ci ricorda da dove veniamo, quali e quanti sono stati i sacrifici dei nostri padri, e ci spinge a lavorare per scrivere adesso una storia in positivo, non fatta di emigrazione, ma di cittadini che amano la loro terra e che cercano un riscatto.
Personalmente, e so che questo causerà delle polemiche, credo che buona parte di questa mancanza di autostima debba attribuirsi a ciò che è successo dall’Unità d’Italia in poi. Per più di cento anni ci hanno convinto che in Sicilia e nel Sud si stava male, che i Borboni erano dei tiranni, che chi lottava per la sua terra era un Brigante, e che l’unica soluzione era quella di emigrare.
Hanno scritto una nuova storia, e ci hanno fatto credere che tutto quello che accadeva dal Napoli in giù fosse negativo e da cancellare.
In cuor nostro sappiamo che il Sud è stato per secoli il centro della cultura Italiana, eppure a scuola ci fanno studiare tutto su Lorenzo Dei Medici, ed a stento sappiamo chi era Federico II.
Le nostre città sono piene di strade intitolate ai Savoia, ma stranamente non ci sono vie per Ruggero il Normanno, o comunque non quanto dovrebbero essere. Volete un esempio? Andate su google e cercate Lorenzo De Medici e Ruggero il Normanno, resterete stupiti dalla differenza di voci riguardanti i due personaggi storici.
Tutto questo faceva parte di un progetto ben più ampio, fatta l’Italia bisognava fare gli Italiani (perché diciamocelo, siamo stati separati dalla caduta dell’Impero Romano all’unità d’Italia, viene quindi spontaneo chiedersi se davvero erano presenti i presupposti per parlare di popolo Italiano).
Per fare gli Italiani bisognava cancellare la storia del sud per sostituirla con una nuova di zecca, una storia così estranea al nostro passato che alla fine ci ha reso stranieri in patria e ci ha spinti ad andare verso un nord del quale si è sempre parlato con toni positivi e che quindi era la meta sognata.
Ovviamente non voglio generalizzare, perché il concetto di Penisola e di Bel Paese è sempre esistito, ma di certo si è fatto molto per farci dimenticare la nostra identità.
Credo quindi necessario un impegno da parte delle istituzioni locali, e di NOI cittadini, a far riscoprire la propria terra, perché solo capendone la grandezza riusciremo ad impegnarci per fare in modo che questa isola diventi davvero nostra.
Il nostro carattere è stato fortemente forgiato dal territorio e dalla nostra storia, eppure sconosciamo entrambe.
Prima di essere Italiani cerchiamo di essere Siciliani, altrimenti saremo sempre un popolo di emigranti che non sa da dove viene né dove va.