lunedì 16 gennaio 2012

Una città senza passato è anche una città senza più futuro

A seguito del mio percorso iniziato su Caltanissetta ed il suo malessere, ho ricevuto diversi commenti che mi hanno inevitabilmente dato ottimi spunti per agire e reagire.
Caltanissetta è un paziente, tutti ne conosciamo la patologia ma, come spesso accade in medicina, non riusciamo ad identificare l’origine di questo male.
Eppure in quest’ultimo periodo sembra che qualcuno abbia cominciato ad intuire qualcosa, e la notizia si sta diffondendo di bocca in bocca.
Io stesso l’ho appresa qualche mese fa, da un’amica durante una pausa sigaretta su di un balcone che dava sulla centralissima Corso Umberto; lei mi disse di far caso al fatto che a Caltanissetta i Nisseni DOC erano pochi.
Lentamente cominciai a controllare la provenienza della generazione dei nostri genitori e poi anche quella dei nonni, ed in parte è vero. Io stesso sono di padre palermitano, e da parte di mia madre, sia mio nonno che mia nonna non sono originari di Caltanissetta.
Questo va collegato al fatto che dopo aver acquistato il ruolo di capoluogo, Caltanissetta abbia attratto dai paesi molte persone che venivano a lavorare negli uffici, e di conseguenza buona parte della popolazione non era Nissena e forse non amava questo grande paese abbandonato nel cuore dell’isola.
Teoria interessante e plausibile, generazioni di Nisseni che non amavano la loro città e che hanno quindi diffuso questo malessere e forse odio verso un luogo che poi così brutto non è. Del resto sono proprio i genitori a spingere i loro figli ad andare via, senza nemmeno invitarli prima a provare a costruire qualcosa. Qui arrivati ai 18 anni si va via, è questa è la norma.

Sempre parlando con amici e lettori, mi hanno fatto notare che forse, i nostri politici, hanno volutamente cancellato la nostra storia perché questa non è nobile, è un passato duro e triste, fatto di agricoltura, miniere e di povertà.
Che forse la nostra storia non è tutta rose e fiori è anche vero, ma non per questo va dimenticata, perché altrimenti si viene a creare questa situazione di ignoranza riguardo le proprie origini che  portano ad avere vergogna per la propria terra e cultura.
La storia è un fatto, e l’unica cosa che possiamo fare è accettala, nel nostro caso, visto che poi non si tratta di nulla di vergognoso, ha una valenza doppia, perché ci ricorda da dove veniamo, quali e quanti sono stati i sacrifici dei nostri padri, e ci spinge a lavorare per scrivere adesso una storia in positivo, non fatta di emigrazione, ma di cittadini che amano la loro terra e che cercano un riscatto.

Personalmente, e so che questo causerà delle polemiche, credo che buona parte di questa mancanza di autostima debba attribuirsi a ciò che è successo dall’Unità d’Italia in poi. Per più di cento anni ci hanno convinto che in Sicilia e nel Sud si stava male, che i Borboni erano dei tiranni, che chi lottava per la sua terra era un Brigante,  e che l’unica soluzione era quella di emigrare.
Hanno scritto una nuova storia, e ci hanno fatto credere che tutto quello che accadeva dal Napoli in giù fosse negativo e da cancellare.
In cuor nostro sappiamo che il Sud è stato per secoli il centro della cultura Italiana, eppure a scuola ci fanno studiare tutto su Lorenzo Dei Medici, ed a stento sappiamo chi era Federico II.
Le nostre città sono piene di strade intitolate ai Savoia, ma stranamente non ci sono vie per Ruggero il Normanno, o comunque non quanto dovrebbero essere. Volete un esempio? Andate su google e cercate Lorenzo De Medici e Ruggero il Normanno, resterete stupiti dalla differenza di voci riguardanti i due personaggi storici.
Tutto questo faceva parte di un progetto ben più ampio, fatta l’Italia bisognava fare gli Italiani (perché diciamocelo, siamo stati separati dalla caduta dell’Impero Romano all’unità d’Italia, viene quindi spontaneo chiedersi se davvero erano presenti i presupposti per parlare di popolo Italiano).
Per fare gli Italiani bisognava cancellare la storia del sud per sostituirla con una nuova di zecca, una storia così estranea al nostro passato che alla fine ci ha reso stranieri in patria e ci ha spinti ad andare verso un nord del quale si è sempre parlato con toni positivi e che quindi era la meta sognata.
Ovviamente non voglio generalizzare, perché il concetto di Penisola e di Bel Paese è sempre esistito, ma di certo si è fatto molto per farci dimenticare la nostra identità.
Credo quindi necessario un impegno da parte delle istituzioni locali, e di NOI cittadini, a far riscoprire la propria terra, perché solo capendone la grandezza riusciremo ad impegnarci per fare in modo che questa isola diventi davvero nostra.
Il nostro carattere è stato fortemente forgiato dal territorio e dalla nostra storia, eppure sconosciamo entrambe.
Prima di essere Italiani cerchiamo di essere Siciliani, altrimenti saremo sempre un popolo di emigranti che non sa da dove viene né dove va.

domenica 8 gennaio 2012

La ricerca di una terza via: Un Modello Siciliano.

Anche quest’anno, le città Siciliane, sono risultate essere le ultime dalla classifica del Il Sole24Ore.
Un triste primato che si ripete ogni anno, e che sembra non interessare ai nostri politici che fanno di tutto affinché nulla cambi qui in terra di Trinacria.

Ultimamente ho però maturato un nuovo modo di vedere le cose, non solo per la Sicilia ma per tutto il Sud Italia, la mia domanda è: e se avessimo sbagliato il metodo d’approccio per lo sviluppo del Meridione?
Ed ancora: Possiamo davvero parlare di Sviluppo in una terra già ricca di suo storicamente?

Quello che sto per dire, potrà sembrare dai toni forti, invece va visto in maniera lucida e tenendo conto della storia del nostro Meridione.

Come già ho scritto nel mio blog i Siciliani, come tutte le genti del Sud Italia, soffrono del male della “perdita dell’identità”, la nostra storia è stata nascosta ed in alcuni casi addirittura cancellata, questo ha portato ad avere un popolo che vive in una terra senza passato; un luogo fatto di un presente senza valore ed in un futuro incerto.
Al nostro retaggio è stato sostituito un nuovo modello, quello Settentrionale. Modello sognato, di benessere e felicità che si realizza solo emigrando, (perché qui questo modello sembra non funzionare).
In Sicilia sappiamo bene che arrivati ad una certa età si deve andar via, perché al Sud non c’è nulla, mentre al Nord si sta bene, si vive meglio e tutto è più bello, o forse questo è solo quello che per anni abbiamo creduto?
Ma dov’è che abbiamo sbagliato?
Sappiamo che in passato si è provato ad applicare al Sud un modello che non ci appartiene, quello industriale che è fallito per motivi storici, ma anche geografici.
Come possiamo applicare una modello ad un sistema che per sua natura non potrà mai farlo suo? Semplicemente non possiamo.

Finché guarderemo al Nord come una terra promessa, ne verremo attratti e non riusciremo mai a fermare il flusso migratorio che da sempre flagella il Sud.
A cosa dobbiamo quindi puntare?
Credo che sia giunto il tempo di cercare una terza via, un “Modello Siciliano” che possa diventare il nostro vero motore per lo sviluppo.
Quello che per altri è lentezza è pigrizia, non è altro che il nostro modo d’essere e di vivere, quello del Meridione è un sistema che si è evoluto in secoli di storia e che adesso viene dipinto come negativo. Perché quindi vergognarsi del nostro modo di essere? Della nostra cultura e delle nostre radici? Chi ci dice che il nostro modo di essere sia quello sbagliato? Non sarebbe ora di smetterla di piangerci addosso?
Ciò che si deve fare è analizzare i nostri punti di forza, e costruire su quelle basi. Sfruttare al massimo le nostre risorse che sono quelle del turismo, della cultura e del mangiar sano. Fare in modo che la Sicilia diventi il centro del Mediterraneo sia come punto di snodo logistico, che come eccellenza turistica.
Facciamo in modo che il nostro Essere Siciliani, diventi una caratteristica unica e positiva, un pregio e non una sventura.
Far capire ai giovani che “quello che siamo” non è un fattore di cui vergognarsi, e che l’unico modo per evitare che le generazioni future lascino la Sicilia è quello di non abbandonarla adesso, ma di rimboccarsi le maniche e di creare sviluppo ora.

Dobbiamo essere noi Siciliani a rialzarci e metterci al lavoro, senza attendere leggi giuste che mai verranno, e senza chiedere aiuto al politico di turno.
Abbiamo perso la voglia di lottare e di amarci, attendiamo da sempre che qualcosa accada, e non abbiamo capito che tutto dipende da noi, che il nostro futuro e la nostra felicità esisteranno solo se noi lo vorremo.
Rialziamoci dunque, e mettiamoci a lavoro!