mercoledì 30 marzo 2016

Caltanissetta, le marce funebri, e il concetto di tempo per i siciliani

Le marce funebri mi mettono sempre allegria, non ci posso far nulla.
L’abbuffata del suono degli ottoni a cui è sottoposto un Siciliano durante la Settimana Santa, è ciò che inserisce un nuovo tassello a quello strano legame fra vivi e morti che abbiamo noi isolani.
Da sempre, fin da piccolo, per me banda musicale significava inevitabilmente marce funebri. Ancora oggi, se sento una banda suonare un altro genere musicale, come un marcia allegra, la cosa finisce per incuriosire le mie orecchie.
Ricordo che la prima ed unica volta che vidi una banda di Caltanissetta suonare un pezzo ritmato fu proprio un Giovedì Santo di tanti anni fa, prima che iniziassero ad accompagnare uno dei gruppi sacri che avrebbero sfilato per tutta la notte per il centro storico della città.
Saranno state le quattro del pomeriggio, e per riscaldare gli ottoni, decisero di lanciarsi in un pezzo swing, la cosa ai miei occhi appariva un po’ profana, ma anche piena di fascino perché vedevo per la prima volta che un’altra musica era possibile.
Avevo lo stesso animo di quel ragazzino cosciente di compiere qualcosa di sbagliato ma stupito dal gusto che ne derivava.
In Sicilia, dove molte cose vanno avanti seguendo una traccia già segnata, anche l’utilizzo delle bande sembrava a senso unico: feste sacre in tonalità minore!
Per la prima volta vedevo un uso diverso di una banda musicale. Per altri e di sicuro per i non isolani, la marcia funebre con la sua impetuosità non era di certo l’utilizzo più usuale, eppure per noi era ed è la norma. La bellezza di quei suoni che stordiscono, la solennità del passo cadenzato di chi partecipa alla processione. Ogni cosa in Sicilia che è legata ad una festa di paese, è spesso collegata al mistero della morte. Per quanto assurdo possa sembrare, i giorni più felici della nostra infanzia, hanno come cornice processioni, marce funebri e morti.
Durante i riti della Settimana Santa, sin da piccoli, siamo abituati a vedere corpi flagellati, crocifissioni, piaghe e sangue, visi contorti e straziati dal dolore. Eppure, nulla di questo spaventa i bambini, ogni cosa è vista attraverso la lente della festa, e così anno dopo anno, si collegano i momenti felici al mistero che lega l’uomo a ciò che lo attende.
Non credo esista Siciliano che non pensi costantemente alla morte, o se questo può sembrare esagerato, possiamo dire che nel Siciliano il concetto di morte è comunque presente.
Se infatti qualcuno dovesse chiedere un’informazione certa ad esempio su un appuntamento, orario o programma, un Siciliano risponderà che: “di certo non c’è nulla, tranne la morte.”
Di sequenza vi dirà sempre che la scelta migliore verrà fatta al momento opportuno, il vecchio e classico “cumu veni si cunta”.
Per molti quest’ultima frase è la condanna del nostro popolo, ovvero la mancanza di progettare o di voler pianificare qualcosa a lunga o breve scadenza.
Un fatalismo arabo, che lascia tutto nelle mani del caso o di Dio.
Non c’è Siciliano, almeno nell’entroterra, che non vivi questa realtà. Ogni cosa verrà vista e decisa al momento opportuno, quando se ne presenterà l’occasione, il resto sembra non avere importanza quindi non ha tempo.
Tempo qui inteso come realtà, come spazio. In Sicilia il tempo si annulla, si restringe o dilata a suo piacimento. Siamo un popolo non adatto ad agire a breve scadenza, spesso un appuntamento od un impegno viene rimandato il più possibile, senza mai stabilire una data, e difficilmente una cosa verrà fatta dall’oggi al domani.

Sembra che per ogni cosa ci sia tempo, e del resto, in un’isola dove le giornate appaiono tutte uguali, un giorno vale l’altro.